“Mi hanno diagnosticato una malattia, dovrò sottopormi a delle cure e forse a degli interventi. Voglio troppo bene ai miei figli e non posso vederli soffrire. Farei di tutto per la loro felicità. … Forse è meglio tacere?”

E’ parte della nostra umanità chiudersi in difesa per la paura e l’angoscia provate innanzi a certe prove che la vita a volte ci impone all’improvviso. L’amore che nutriamo per i nostri figli è talmente grande che nascondere certe verità per difenderli dal dolore è un istinto quasi naturale. Eppure siamo sempre genitori, anche quando siamo preoccupati per noi stessi … e uno dei nostri primi compiti è preparare/attrezzare i nostri figli a sopravvivere in questo mondo e a noi stessi. Forse questa esperienza può essere l’occasione per insegnare a loro come si possono affrontare certe prove.

E’ un’illusione pensare che basta tacere per non coinvolgere i nostri figli in momenti difficili. Qualsiasi cosa accada sotto il tetto di una famiglia viene immediatamente colto, annusato, respirato da chi ci vive, figli compresi. Non sapranno il perché, ma colgono subito che qualcosa di importante sta accadendo. Non servono parole, parlano gli sguardi, gli sbalzi d’umore, i silenzi, la preoccupazione, il nervosismo, l’impazienza, …. Per poi non parlare della partenza di un genitore (che possiamo giustificare “per lavoro?”) e del suo ritorno un po’ cambiato, sciupato, stanco … che dopo un po’ inizia a perdere i capelli …

Se non prepariamo e aiutiamo i nostri figli a dare un senso a ciò che hanno visto, vedono e vedranno, saranno loro ad riempire quel vuoto di significato con le loro fantasie, con le loro paure, con le mezze frasi colte tra i genitori o durante telefonate, e chissà come combinate nelle loro menti, con quali distorsioni, … che potrebbero anche condurlo a concludere che è lui stesso la causa della malattia del genitore.

Il nostro compito di genitore ci spinge ad essere genitori anche in questi momenti delicati, aiutando i nostri figli a dare un significato a ciò che assistono, senza prenderli in giro, spiegando loro ciò che sono in grado di comprendere nel momento più opportuno. Renderemo sicuramente i nostri figli un po’ tristi, ma se diamo loro la possibilità di condividere il loro dolore con noi genitori, se creiamo uno spazio dove queste cose possono essere dette, si sentiranno coinvolti, responsabilizzati, non si sentiranno soli nel loro momento infelice, … e avranno la possibilità essere accolti.

La malattia di un genitore (a prescindere dalla gravità della stessa) è una cosa che riguarda in modo naturale tutta la famiglia, quindi le comunicazioni relative possono avvenire tranquillamente in una “riunione di famiglia”, nella maniera più serena e naturale possibile, in un dopo cena, dopo che i genitori si saranno confrontati e accordati su cosa dire, quanto dire, chi deve parlare, … in maniera chiara. Poi se un figlio ha qualche sua domanda o dubbio, si può creare un ulteriore spazio a lui dedicato.

La gestione di questo momento, potrebbe non spaventare qualsiasi genitore, che può comunque chiedere aiuto per essere sostenuto, guidato o anche solamente indirizzato.

Per chi ne sentisse il bisogno, di seguito può trovare un link per approfondire l’argomento, con la possibilità di consultare un utile manuale:

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